Non so
quanti di voi abbiano letto il libro “L’edicola del futuro, il futuro delle
edicole” di Pier Luca Santoro.
Trattandosi
di un e-book e a causa dei tanti anni passati in mezzo alla carta stampata ho
avuto qualche difficoltà nella lettura ma la fatica è stata premiata: un
mini-saggio veramente interessante e non solo per gli “addetti ai lavori”.
In
particolare vorrei soffermarmi sull’intervista fatta a Massimo Ciarulli,
edicolante di Terni, il quale ripetutamente (ma a onor del vero lo dice da
anni) auspica la fine della resa dei giornali invenduti ovvero la fornitura in
conto assoluto.
Queste le
motivazioni di Massimo che cerco di trascrivere quasi fedelmente:
Un rapporto di commercializzazione del
prodotto che preveda la fine della resa dell’invenduto, dovrebbe ovviamente
portare a un considerevole aumento dell’aggio riservato al rivenditore. Gli editori, che oggi praticano ai lettori
sconti fortissimi sugli abbonamenti, potrebbero riservare – trattandosi
comunque di vendita certa - analoga retribuzione al canale edicola.
Inoltre, l’eliminazione della resa
renderebbe attuabile l’interazione diretta tra editori ed edicolanti facendo
venir meno il ruolo dei distributori, sia nazionali sia locali, accorciando una
filiera che è troppo lunga ed ha ricavi troppo esigui. I distributori
perderebbero, quindi, l’enorme potere che nasce dalle posizioni dominanti di
monopolio.
Un passo da valutare bene, che
potrebbe non interessare tutto il prodotto editoriale, ma che sicuramente
troverebbe apprezzamenti da parte di tutta quella editoria minore che, con
fatica, riesce a trovare visibilità in edicola.
Che dire?
L’idea è affascinante, le motivazioni mi sembrano valide e fondate, soprattutto
quella sulla possibilità di ottenere un consistente aumento degli aggi. Con l’attuale
19 per cento (lordo) su prezzi di copertina sempre più bassi e su quantità di
copie in continuo calo, le edicole rischiano una esponenziale accelerazione
della loro scomparsa. Finalmente commercianti,
liberi di scegliere cosa e quanto vendere, non più soggetti alle protervie dei
distributori locali, con la certezza che la sopravvivenza della nostra azienda
dipenderà, quasi esclusivamente, dalla professionalità, dal merito.
Esiste, però,
anche un lato oscuro della Luna ed è quindi bene dare un’occhiata anche a
quello.
Il prodotto
editoriale periodico ha caratteristiche uniche e non riscontrabili in nessun
altro prodotto “commerciale”: ha una vita molto breve, una deadline che si
avvicina sempre più velocemente con lo scorrere del tempo, una scadenza oggi
ancor più soffocante per la spietata concorrenza dei vari siti web con notizie
aggiornatissime. Il pane, il latte, anche il pesce, hanno una vita commerciale
più lunga. E questo non vale solo per i quotidiani (che Massimo, mi pare di
capire, escluderebbe dal conto assoluto); anche i settimanali sono effimeri e
gli stessi mensili, a sette giorni dall’uscita, diventano zavorra.
Se a ciò
aggiungiamo le imponderabili variabili del tempo, del traffico, delle vendite
legate a particolari avvenimenti o ad altri fattori, è logico pensare che sia
difficilissimo (quasi impossibile) stabilire a priori quali siano i quantitativi
idonei a soddisfare le effettive esigenze di un punto di vendita senza dover
rischiare, in mancanza del diritto di resa, bagni di invenduto e, quindi, di
perdite non indifferenti visto l’elevato numero delle testate presenti in
edicola.
Questo
potrebbe anche spingere il rivenditore ad una limitazione delle prenotazioni,
sia nel numero delle copie sia in quello delle testate, con una possibile
perdita delle vendite d’impulso che sono essenziali per la sopravvivenza delle
edicole.
Non credo,
pertanto, che la cosiddetta editoria minore possa essere interessata a tale
ipotesi; anzi, a mio avviso, ha tutto da perdere.
L’idea di
Massimo rimane comunque affascinante e da non scartare a priori, magari c’è da
lavorarci un pochino sopra per capire se e come sia possibile metterla in
pratica.
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