Non so
quanti di voi abbiano dato almeno un’occhiata alla bozza (incompleta) delle
liberalizzazioni che il governo si appresta a varare.
All’art.
43 (liberalizzazione del sistema di vendita della stampa quotidiana e
periodica) sono previste alcune modifiche al Decreto Legislativo n. 170/2001 e precisamente:
a)
Abrogazione del limite minimo di superficie previsto per le medie
e grandi strutture di vendita;
b)
Abrogazione del limite minimo di vendita per gli esercizi adibiti
alla vendita di libri e prodotti equiparati;
c)
Sostituzione dell’art. 5 comma 1 lett.b) con il seguente “le
condizioni economiche e le modalità commerciali di cessione delle
pubblicazioni, comprensive di ogni forma di compenso riconosciuta ai
rivenditori possono variare solo in funzione dei risultati conseguiti dall’esercizio
e dei volumi di giornali acquistati nei punti vendita”.
Secondo
quanto riportato nella “relazione illustrativa” tali disposizioni ampliano “l’offerta
dei punti vendita così favorendo un più ampio volume di vendite” e potenziano “le
condizioni di concorrenza tra i rivenditori”.
Da non
dimenticare che l’art. 23 della bozza prevede negli impianti di distribuzione
carburanti è sempre consentita, senza limiti di superficie, la vendita di
quotidiani e periodici.
Premetto
che, come ampiamente dimostrato dai risultati della sperimentazione del 1999, è
totalmente assurdo sostenere che un aumento dei punti di vendita porti a un consequenziale
aumento delle vendite specie in un settore che ormai da anni è colpito da una
crisi direi inarrestabile con costanti cali di vendite e di introiti pubblicitari. E già
il millantare “un più ampio volume di
vendite” la dice lunga sull’effettiva conoscenza del mercato editoriale che
ha l’estensore della relazione.
Non so invece
come definire il previsto potenziamento delle “condizioni di concorrenza tra i
rivenditori” anche perché non mi è chiaro quali dovranno essere i “risultati conseguiti dall’esercizio” . Economici?
Simpatia? Disponibilità? Competenza?
Più
esplicita la locuzione “dei volumi
dei giornali acquistati” pur se
contiene due errori: intanto noi non acquistiamo nessun giornale (sono di
proprietà degli editori fino al momento della vendita); poi, se vogliamo
fissare un parametro, credo sia più attinente quello relativo al volume delle
vendite e non quello relativo alle forniture.
A parte
queste discrasie linguistiche, da cosa dovrebbe nascere il potenziamento delle
condizioni di concorrenza se, come tutti sanno (o meglio, dovrebbero sapere),
il prezzo di vendita della stampa quotidiana e periodica è stabilito dall’editore
e non può subire variazioni?
Una
cosa è certa: così si andranno a premiare esclusivamente le rivendite che hanno
alti fatturati, quali, ad esempio, quelle nei supermercati già oggi avvantaggiate
sia per il limitato numero delle testate in vendita sia per le diverse
condizioni di pagamento e molte rivendite di periferia e ancor più quelle poste
in frazioni isolate saranno destinate a chiudere.
E
pensare che il rappresentante dell’Antitrust al nostro Congresso di Firenze del
2010 era arrivato (riporto da Azienda Edicola) alle seguenti conclusioni:
• Più flessibilità nel settore: in Francia
vengono dati premi per la qualità delle rivendite mentre in Gran Bretagna è
previsto un costo supplettivo di trasporto in base ai valori venduti: paga di
più chi vende meno.
• Bisogna
circoscrivere la parità di trattamento per i presunti editori. Il rivenditore
deve poter rifiutare la testata invenduta più volte e che il distributore
continua a fornire (applausi scroscianti).
• Nei
punti vendita esclusivi siamo presenti con 3-4 mila testate: bisogna arrivare a
scremare questo dato non più sopportabile dall’edicola. Bisogna stabilire un
fatturato minimo dell’editore che entra sul mercato (applausi scroscianti).
• Remunerazione
sul venduto per la distribuzione
• Riscoperta
del contratto estimatorio, no anticipazione continua di soldi dal punto vendita
(applausi scroscianti), ridurre le rese, più margini di discrezionalità.
Tante belle parole, tanti bei proponimenti, tante (nostre)
illusioni. E adesso – come scrive ripetutamente un collega del Nord Italia – in
un fragoroso silenzio arriva la liberalizzazione.